Quando il sole di giugno comincia a ronzare sulle antiche pietre di Solunto, la Sicilia si prepara a indossare la sua veste teatrale più sontuosa. Sabato 28 giugno, nell’area archeologica affacciata sul golfo di Santa Flavia, si alzerà il sipario sulla ventunesima edizione dei Teatri di Pietra, la lunga cavalcata estiva che, fino al 30 agosto, trasformerà l’isola in una costellazione di palcoscenici a cielo aperto: oltre ottanta spettacoli in diciannove siti disseminati in sette province, un’unica, pulsante “rete” culturale che unisce templi dorici e fortezze normanne, villaggi preistorici e cortili barocchi.
L’inaugurazione sarà affidata alla prima nazionale di Andromeda e Perseo, testo e regia di Gianfranco Perriera, con Ernesto Maria Ponte e Clelia Cucco a incarnare la favola millenaria di una promessa d’amore più forte dell’orrore. Il mito, riletto come meditazione sull’empatia in tempi bui, si offrirà al pubblico nel dialogo segreto fra la parola e la pietra, fra la voce umana e le rovine che la custodiscono. È il sigillo poetico di una manifestazione che da sempre, sotto la direzione artistica di Aurelio Gatti, rimette in circolo il senso originario del teatro: rito comunitario pensato per essere ascoltato dal paesaggio prima ancora che dagli spettatori.
Quest’anno il fil rouge è la trama di relazioni che la natura tesse fra le sue creature. Tema introdotto a maggio dall’anteprima Cloris—koinè di teatro, danza e indagine scientifica andata in scena all’Orto Botanico di Palermo—e ora dilatato in un viaggio che dall’estrema punta occidentale di Selinunte risale a nord, toc-ca Cefalà Diana e Himera, piega verso oriente fino alle pietre vuote di Akrai, quindi corre al cuore dell’isola, fra Sperlinga ed Enna, per approdare infine all’Agorà di Halaesa, balcone sul Tirreno dove il tempo vacilla. In ciascuno di questi luoghi, Gatti invita artisti e spettatori a contemplare la “convivenza attiva” di uomini, dèi e paesaggi: il teatro come cellula di un ecosistema più vasto, non come ornamento turistico.
Del resto la storia dei Teatri di Pietra nasce proprio dal concetto di rete: una trama invisibile che collega piccoli comuni e parchi archeologici, ma anche compagnie, ricercatori, maestranze. Nel corso di ventun anni questa rete ha generato un lessico condiviso fatto di cura, partecipazione, cittadinanza: un’idea di patrimonio inteso non come reliquia museale, bensì come materia viva che restituisce identità alle comunità che lo abitano. Da qui la scelta di mantenere la manifestazione itinerante, rifiutando la logica del grande evento accentratore; da qui l’insistenza sul radicamento territoriale, sull’incontro fra star nazionali e talenti locali, sulla commistione di generi e linguaggi che consente alla tradizione di respirare aria nuova.
Accanto alla prima di Andromeda e Perseo, il cartellone sfoggia un bouquet di debutti assoluti. La compagnia Arpa presenterà Medusa, canto coreografico sulla luce e sull’ombra che convivono nella metamorfosi; Remo Anzovino dirige la Danza delle Baccanti, affresco musicale in cui la febbre dionisiaca si rovescia in partitura elettronica; Manuel Giliberti offrirà Le Lacrime delle Donne, dramma corale su ferite individuali e colpa collettiva; Rino Di Martino intreccerà parola e gesto in Del Labirinto e altre storie, viaggio danzato fra specchi e minotauri interiori.
Accolte in Sicilia ma aperte al Mediterraneo più ampio, le migliori produzioni del circuito nazionale completeranno la mappa del festival: la lezione lucreziana di De Rerum Natura, la satira sociale di Pluto, la visionarietà contemporanea de La Fabbrica degli Angeli senza tempo. E poi un nucleo squisitamente isolano, da Pirandello: Questo, Codesto e Quello a Ulisse racconta Ulisse e Odisseo Superstar, fino alle variazioni su Ecuba, Penelope vs Ulisse, Vivere Diversi, Euridyce, Anima Mundi e Il Villaggio del Meschino: drammaturgie che sostengono l’urgenza di narrare l’umano in dialetto, in italiano, in gesto, in canto.
Il respiro eterogeneo del programma esalta la filosofia di Gatti: “Ogni territorio diventa importante quando si esprime nella cura dell’identità”. Così il Tempio della Vittoria di Himera accoglierà, il 10 luglio, Del Labirinto e altre storie, mentre il Teatro di Monte Iato, cornice rupestre sospesa tra i vigneti di San Cipirello, ospiterà Euridyce il 13 luglio. Le terme arabe di Cefalà Diana rievocheranno memorie di acqua e pietra, Ustica riaprirà il suo villaggio preistorico alla drammaturgia del vento, e il loggiato di San Sebastiano a Melilli si trasformerà in un corridoio fra la parola classica e la luce ionica. In ognuno di questi siti la compagnia in residenza troverà la quinta scenica già scritta dal profilo della costa, dall’alito delle colline, dallo sgretolarsi secolare di un capitello.
Al pubblico non è richiesto che di sedersi sul declivio di un tempio o su un gradone di tufo e lasciarsi attraversare dalla storia; ma chi lo desideri potrà spingersi oltre l’atto di contemplare, tessendo a propria volta relazioni: seguendo le tappe del festival come si segue un cammino, scoprendo borghi, degustando vini, ascoltando il racconto dei custodi che vigilano sulle rovine. Così il circuito dei Teatri di Pietra diventa anche volano di economia circolare, di turismo lento, di rigenerazione sociale, a dimostrazione che la cultura non è mai lusso ma infrastruttura.
Nel tramonto di fine agosto, quando l’ultimo riflettore si spegnerà su una delle cave naturali di Selinunte o sul greto argilloso di Agrigento, resterà il senso di un’eredità condivisa: ottanta e più variazioni sul medesimo tema, la responsabilità di essere ospiti effimeri di un paesaggio millenario. Allora le pietre torneranno al loro silenzio, non però alla loro immobilità, perché il teatro avrà risvegliato memorie sopite, avrà riattivato antiche sillabe incastonate nel travertino. In quel momento lo spettatore capirà che lo spettacolo non è finito: semplicemente si è diffuso nell’aria, nei gesti quotidiani, nel modo stesso di guardare la terra che calpestiamo. E forse, complice la carezza di Cloris, la Sicilia continuerà a recitare sottovoce la sua parte migliore, sospesa tra il mito e la natura che ancora la chiama per nome.