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In Scena

Ragazze all’ingrosso: ironia, resistenza sul palcoscenico

Roberta D'Asta
Last updated: Luglio 1, 2025 8:49 am
Roberta D'Asta
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7 Min Read

Nel chiostro di pietra bianca che accoglie la Galleria d’Arte Moderna “Empedocle Restivo”, quando il tramonto diluisce le ultime voci del centro storico di Palermo, quattro attrici entrano in scena trascinando luci da rivista, piume scintillanti, finte parrucche e un guardaroba di sogni in svendita. Si apre così Ragazze all’ingrosso, la nuova commedia scritta da Rossella Pugliese e diretta da Nadia Baldi, punta di diamante del cartellone “Biondo d’estate”. Eppure, dietro l’apparenza di uno show colorato di lustrini, l’opera mette a nudo la spina dorsale del maschilismo che ancora oggi modella lo spettacolo, vende corpi, fabbrica desideri preconfezionati e riduce la voce femminile a sottofondo ornamentale.

Euridice Axen, volto televisivo che in questo allestimento rinuncia volentieri alla patina del glamour per abbracciare la fragilità, impersona una performer di talento imprigionata nell’arena feroce dei provini a porte chiuse. Accanto a lei, Giusy Frallonardo, la stessa Pugliese e Lia Zinno incarnano compagne di viaggio diverse ma complementari: la spalla comica che non accetta di smussare i propri contorni, la principiante piena di entusiasmo destinata a scoprire presto il prezzo della notorietà, la professionista disincantata che medita di mollare tutto. La “voce pulsante” di Corrado Ardone, ricamata in controluce tra le quinte, è un coro greco distorto, ora confidente notturno, ora boia invisibile, ora un pensiero scomodo che bussa alla coscienza dello spettatore.

La drammaturgia snocciola un mosaico di episodi reali raccolti dall’autrice, impastati con la polvere di camerini, i compromessi dei casting director, le battute sessiste che ancora rimbalzano come eco di un circo decadente. Ogni accento di ironia è coltello affilato: si ride di frasi sentite mille volte, ma il riso ha il retrogusto acre del disincanto. Nadia Baldi calibra il ritmo come un contrappunto musicale, alternando slapstick fulminei a improvvisi silenzi in cui la risata si secca in gola. Il disegno luci – ideato dalla stessa regista – taglia di netto il chiostro, isolando i corpi femminili in quinte laterali che sembrano vetrine di un grande magazzino; sul pavimento lucido appaiono cartellini immaginari: “talento scontato al 50 %”, “dignità ultimo pezzo”. Gli abiti di Carlo Poggioli, paillettati e sgargianti, sfilano come farfalle audaci e poi, d’un tratto, si ammassano in un angolo, ricordo sfibrato di un carnevale che non ha mantenuto le sue promesse.

Si avverte la mano di Ivo Parlati nel tappeto sonoro che omaggia le sigle televisive degli anni Ottanta, ma le distorce in tonalità minori, come un mangianastri che rallenta il nastro fino a far emergere il testo nascosto. Ne scaturisce un cortocircuito temporale: lo spettatore rivive la rassicurante televisione del sabato sera, ma ne ascolta il cuore di tenebra, fatto di patti inconfessabili e sorrisi plastificati. Il trucco, dice un personaggio, «serve a far brillare la pelle finché non si scioglie sotto i fari», e l’immagine resta, come un velo di cipria che nasconde cicatrici di autocensura.

La regia costringe le interpreti a lembo d’abisso, costantemente in bilico tra caricatura e confessione. Axen, con timbro duttile, sa passare dalla prosodia zuccherina della velina televisiva alla torva sarcasmo di chi rivendica il diritto alla complessità. Pugliese, autrice-performer, incarna la tenacia ironica di un clown triste che, proprio quando il sipario sembra crollare, spara l’ultima cartuccia di speranza. Zinno è la lanterna nella tempesta: illumina il palco con una comicità fisica ma inchioda il cuore quando racconta il provino in cui qualcuno, fuori campo, le chiede di “spogliarsi della personalità” prima ancora degli abiti. Frallonardo, infine, regala un monologo sulle molestie digitali in cui la risata diventa grido, senza mai cedere a toni didascalici.

Sullo sfondo, la Palermo estiva fa la sua parte: il frinire dei grilli oltre il chiostro, le finestre che danno su vicoli caldi di umanità, le luci dei lampioni che filtrano nella corte come riflettori naturali. Il pubblico siede a pochi metri dagli attori, senza quarta parete; il confine tra platea e scena si scioglie, invitando ciascuno a confrontarsi con l’intima domanda che lo spettacolo rilancia: fino a che punto siamo complici della mercificazione femminile? La risposta non è univoca, ma si intravede nell’applauso finale, quando gli spettatori trattengono qualche secondo di sospensione prima di battere le mani, quasi volessero assorbire tutto il non detto sparso sul pavimento.

La sera successiva, sempre alle 21, la replica offrirà un ulteriore banco di prova: in teatro, dicono, ogni replichera è un organismo vivo che reagisce all’umore della città. E il pomeriggio del 3 luglio, alle 19, la stessa GAM diventerà officina di parole giovani con la lettura scenica di 9525 di Valeria La Bua, finalista del Premio Nazionale Teatro Biondo per la nuova drammaturgia under 40. Guidati da Rosario Palazzolo, gli allievi della Scuola di recitazione trasformeranno il chiostro in cantiere di futuro, offrendo al pubblico un antidoto alla rassegnazione: la scrittura che avanza, la responsabilità di mettere al mondo linguaggi diversi.

Nel suo complesso, Ragazze all’ingrosso è molto più di un pamphlet femminista: è una ballata tragicomica che interroga il pubblico sulla propria fame di luccichìo, sul gusto di una cultura televisiva che per decenni ha scambiato la bellezza con l’obbedienza, la leggerezza con la rimozione. Non offre ricette, ma frammenti di verità scomode impastati con ironia sapiente. È teatro che risuona fuori dal teatro, teatro che abita la quotidianità di chi, domani, entrerà in ufficio e riconoscerà forse una battuta sessista camuffata da complimento. Se l’arte ha ancora il potere di cambiare la postura mentale dello spettatore, lo fa così: mettendo in scena la risata, e lasciando che il retrogusto bruci come sale sulle ferite.

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