Nel grande ventre neoclassico del Teatro Massimo—platea a ferro di cavallo, volte dorate, il lampadario ottocentesco che pende come un astro domestico—giovedì 17 luglio si accenderà un racconto in forma di concerto: La musica oltre le storie, firmato e diretto da Paolo Buonvino, compositore siciliano che da quasi trent’anni accompagna con le proprie melodie il respiro del cinema e della serialità italiana. È un titolo che contiene già una dichiarazione di poetica: liberare la musica dal vincolo narrativo per cui è nata, restituirle l’energia sorgiva e offrirla al pubblico come territorio di immaginazione pura, slegata dalle immagini che l’hanno resa celebre.
Per chi ha attraversato gli ultimi vent’anni di schermo italiano, i temi di Buonvino sono materia di memoria collettiva. Basterà un accordo sospeso per riconoscere l’urgenza emotiva de L’ultimo bacio, dove gli archi sembravano assecondare le ambiguità sentimentali di una generazione inquieta; o la claustrofobia lieve di Caos calmo, incoronata con il David nel 2008; o ancora il magma elettrico di Romanzo Criminale, colonna pulsante della metamorfosi televisiva italiana. Eppure, lo scopo della serata non sarà la semplice nostalgia, ma la riappropriazione di uno spazio di ascolto che va al di là del déjà-vu: Buonvino riorganizza le partiture, ne scioglie la forma filmica, le espone a un processo di rigenerazione attraverso nuovi arrangiamenti in cui convivono elettronica d’ambiente, improvvisazione jazzistica e dinamiche sinfoniche tradizionali.
Accanto al compositore—che siederà al pianoforte, alternandosi a sintetizzatori e droni digitali—otto musicisti d’eccezione tessono la trama timbrica dell’ensemble. C’è la corda profonda di Luca Pincini, violoncellista dal suono rotondo che Morricone ha spesso scelto come voce solista; c’è la grazia filigranata del violino di Prisca Amori e la viola scura di Antonio Bossone, colonne di quell’Orchestra Roma Sinfonietta che tante volte ha registrato con Buonvino. Pasquale Laino alterna sax e clarinetto basso, innestando colori che sconfinano nel Mediterraneo; Alessandro Chimienti passa da chitarre riverberate a oud arabeggianti; Puccio Panettieri incastona pattern ritmici in cui la batteria rock si mescola a piccola percussione etnica; Mauro Menegazzi—fisarmonica e tastiere—porta un respiro di piazze balcaniche, mentre Simona Sciacca dosa il canto come strumento, talvolta pura texture, talvolta esplosione lirica. A sorpresa, come gemma vocale, interviene il palestinese Faisal Taher, voce cavernosa capace d’intrecciare idiomi arabi e dialetto siculo in un melisma che saprà dare corpo alla sezione dedicata al Gattopardo targato Netflix, l’ultima titolazione internazionale firmata da Buonvino.
Elemento di fascino tecnico sarà il Disklavier, un pianoforte “robotico” collegato a un algoritmo di intelligenza artificiale: non si tratta di gadget estetico, ma di un dialogo fra mente umana e macchina programmata per rielaborare, in tempo reale, estratti degli spartiti secondo parametri di variazione armonica. Buonvino l’ha definito «una terza mano che risponde alle suggestioni del momento», quasi un organo cosciente che osserva lo spartito dall’interno e suggerisce vie laterali al tema principale. L’effetto, in sala, sarà quello di un contrappunto fantasma che si innesta sul gesto vivo dell’esecuzione, facendo della tecnologia non un orpello ma un’estensione dell’umano.
La drammaturgia luminosa, studiata in simbiosi con il suono, rinuncia a scenografie ridondanti: pochi tagli di luce saturata avvolgeranno i musicisti, isolandoli come statue cinetiche che emergono da un altrove invisibile. Ogni brano godrà di una tavolozza cromatica dedicata: blu cobalto per l’ansia oceanica di Marine (tema da Caos calmo), rosso teatrale per la passione “guttosa” de La Matassa dei comici palermitani Ficarra & Picone, oro antico per gli affreschi rinascimentali dei Medici e dei Lampedusa televisivi. L’assenza di proiezioni cinematografiche—opzione scelta di proposito—spingerà lo spettatore a costruire nella mente un personale montaggio di ricordi visivi, liberando la colonna sonora dalla tirannia dell’immagine precostituita.
A chiusura, la tarantella ipnotica di Taranta reimagined (progetto nato dal Concertone del 2021) trasformerà il politeama palermitano in balera tribale: la tradizione pugliese si fonderà con groove elettronici, quasi un omaggio al pubblico siciliano cui Buonvino, nativo di Scordia, torna sempre come a un porto affettivo. Sarà un congedo in crescendo, scandito da tammorre campionate e respirazioni corali, che archivierà la serata nella zona più spontanea dell’emozione: quella dove il corpo trova irresistibile il desiderio di muoversi.
«Ogni melodia—dice Buonvino—contiene una vita segreta prima dell’immagine: è quell’attimo che cerco di restituire». La musica oltre le storie promette dunque un’esperienza bilingue: da un lato la riconoscibilità dei temi che hanno cucito insieme frammenti di cinema italiano recente; dall’altro un battito sperimentale che, complice l’elettronica e la complicità di musicisti navigati, spingerà quelle stesse melodie oltre il loro perimetro, dentro uno spazio di risonanza emozionale dove ciascuno potrà scrivere—o riscrivere—la propria personale colonna sonora.
I biglietti, esauriti in prevendita per la platea, restano disponibili per i loggioni e le gallerie, a testimonianza di un’affezione del pubblico palermitano verso le grandi firme della musica per immagini. Un teatro al completo non è novità, ma stavolta l’attesa ha il sapore di una piccola restituzione: Buonvino riporta a casa, per una notte, la lunga costellazione di storie che la sua musica ha illuminato, e chiede soltanto silenzio, ascolto e quel fiato sospeso che ogni spettatore trasformerà, a suo modo, in racconto.