Ci sono sere in cui la storia del cinema sembra scivolare giù dallo schermo, farsi carne e vibrazione, attraversare l’aria come un soffio intenso di cellule emotive: il 15 luglio al Teatro Massimo di Palermo e il giorno successivo, tra le gradinate millenarie del Teatro Antico di Taormina, l’Orchestra del Massimo guidata da Maurizio Billi invita il pubblico a un rito collettivo che mette in corto circuito spartiti famosi e ricordi personali, bianco-nero d’archivio e luce liquida di proiettore, malinconia e stupore. “Musica da Oscar” – questo il titolo della doppia serata – promette un viaggio senza pause lungo sessant’anni di colonne sonore, quelle che hanno saputo, come poche altre forme d’arte, scolpire intere generazioni di sogni: dalla Sicilia dorata del Gattopardo alle praterie crepitanti di Morricone, dalle vertigini di Hitchcock alle galassie di John Williams, fino alla sottile nostalgia di Astor Piazzolla. E, in mezzo, il canto puro del soprano Anna Kazlova, tessuto lirico che effonde negli archi la morbidezza di un velluto antico eppure proteso al futuro.
Il meccanismo è semplice e per questo potentissimo: si comincia in terra di casa con Nino Rota, evocando la danza malinconica che Luchino Visconti orchestrò tra balli aristocratici e decadenza boreale; le corde si fanno seta, la tromba imita il battito di un cuore aristocratico schiacciato dal tempo, e improvvisamente lo spettatore precipita in quell’estate siciliana del 1860 in cui le lampade a petrolio tremavano già per l’arrivo del domani. Poi, senza soluzione di continuità, ecco irrompere Ennio Morricone, il compositore che ha regalato al West il silenzio plumbeo degli altopiani e al sentimento una lingua segreta fatta di fischi, carillon, colpi di frusta orchestrali. Il Maestro Billi, forte di un’amicizia personale con Morricone, ne dispiega la tavolozza emotiva con sacra delicatezza: “Estasi sinfonica” si apre come un canyon di ottoni, “Giù la testa” esplode di polvere da sparo, “Nuovo Cinema Paradiso” è carezza di flauto e pianoforte, “The Mission” poggia sulle spalle larghe di un tema corale che il coro immaginario dello spirito sembra intonare sopra la gola di un fiume amazzonico.
Non c’è tregua, perché arriva subito Piazzolla con la sua “Ave Maria” scritta per Marco Bellocchio: bandoneón assente ma evocato nei legati del violoncello, un sospiro d’Argentina che si posa sul Monreale di Pirandello come una rugiada straniera. Pochi minuti dopo la bacchetta di Billi cambia inclinazione e la sala, o la cavea taorminese, si tinge di sospetto rossastro: è la suite di Bernard Herrmann per “Vertigo”, arabesco di ottoni che sale in spirale, tagliato da dissonanze d’archi come lame di coltello lucide di desiderio e ossessione. Sembra di vedere il chignon biondo di Kim Novak dissolversi tra le navate di San Francesco a San Francisco, mentre il pubblico trattiene il fiato nell’attesa di una risoluzione che non arriverà mai davvero.
E quando la tensione è massima, irrompe John Williams, l’architetto sonoro che ha messo il mantello a Superman, la frusta a Indiana Jones e la Forza nella punta delle dita di un ragazzo di nome Luke. Il Maestro Billi ha cucito una “Movies Symphony” che stringe in un unico abbraccio marce trionfali, corse in bicicletta sulla luna e lacrime su un violino solitario: “Star Wars” spalanca orizzonti di fiabe futuriste, “E.T.” ci restituisce il peso leggero dell’infanzia, “Schindler’s List” ferma il tempo e lo riempie di silenzio, un fermaglio rosso su un’orbita di dolore. In quel momento Anna Kazhova entra, il bel timbro fiorito negli acuti, e distende la linea melodica come un fazzoletto bianco sopra un campo devastato, ricordando a tutti che il cinema, quando incontra la voce umana, trova la sua ragione profonda: trasformare una storia in esperienza fisica, intima, condivisa.
Alle spalle di tanta ricchezza c’è il lavoro meticoloso del Maestro Billi e dell’arrangiatore Roberto Granata, che hanno adattato pagine nate per l’orchestra sinfonica, per il quartetto o per il sintetizzatore in una partitura capace di dialogare con l’acustica drammatica del Massimo e con la pietra greca di Taormina. Il risultato è un caleidoscopio di timbri che non frena mai la memoria dello spettatore ma, al contrario, l’attiva: ognuno, ascoltando, ricostruisce nella mente il proprio fotogramma personale, fosse anche la sala parrocchiale dove da bambino vide per la prima volta i dinosauri di Spielberg camminare sulla Terra.
Le due serate sono molto più di un concerto-omaggio: sono una dichiarazione d’amore al potere che il grande schermo esercita da oltre un secolo, laddove la musica, come un filo rosso, tiene insieme la parte visibile e quella invisibile dell’immaginario. Palermo e Taormina diventano così estremi di una rotta melodica che attraversa la Sicilia, lasciando dietro di sé scie di archi e ottoni, riverberi di cori e strappi di silenzio. Chi vi parteciperà capirà che “Musica da Oscar” non è etichetta altisonante, ma definizione letterale: la statuetta dorata è appena un simbolo, l’eternità appartiene alle note che, uscite dalla fossa orchestrale o dalle antiche gradinate, si trasformeranno in memorie indelebili, destinate a riecheggiare ogni volta che la luce si spegnerà e il sipario tornerà a sollevarsi sulla nostra personale, irriducibile sala cinematografica interiore.