Nel 2025, il Teatro Argentina di Roma ha ospitato uno degli spettacoli più discussi della stagione: La città perfetta, un’opera scritta e diretta da Antonio Latella. Conosciuto per la sua capacità di portare in scena testi che scuotono le coscienze e interrogano il presente, Latella firma un lavoro potente e disturbante, che trasforma il teatro in un laboratorio sociale, una lente attraverso cui osservare le tensioni, le contraddizioni e le paure della contemporaneità.
Lo spettacolo si presenta come un’indagine sulla società ideale, sulla promessa di un mondo perfetto e sulle implicazioni nascoste dietro questa utopia. In un’epoca segnata da disuguaglianze crescenti e da un controllo sempre più pervasivo sulla vita individuale, La città perfetta interroga il pubblico con una domanda fondamentale: a quale prezzo siamo disposti a costruire un ordine perfetto?
Un testo che mescola filosofia, politica e poesia
Il dramma, originale nella sua struttura e nella sua scrittura, si sviluppa attraverso tre atti, ciascuno ambientato in una fase diversa della costruzione di questa “città perfetta”. Nel primo, assistiamo alla fondazione dell’utopia: un gruppo di intellettuali, politici e architetti discute e progetta un nuovo ordine sociale, basato su principi di giustizia assoluta, razionalità e benessere condiviso. Il linguaggio è elevato, quasi solenne, con echi di Platone e di Thomas More, ma tra le righe già si percepisce una sottile inquietudine.
Nel secondo atto, la città prende forma, e con essa emergono i primi dissensi. Ciò che doveva essere perfetto inizia a mostrare crepe: le persone che non si conformano al modello vengono isolate, la libertà individuale è sacrificata in nome dell’armonia collettiva. Qui il linguaggio si fa più frammentato, a tratti violento, riflettendo il crescente disagio dei personaggi.
Il terzo atto è il crollo: le contraddizioni diventano insostenibili, la città ideale si trasforma in un incubo distopico. Le scene si susseguono con un ritmo incalzante, i dialoghi si sovrappongono, le voci si spezzano. Lo spettatore è catapultato in un vortice di tensione crescente, fino a un finale spiazzante e amaro, che lascia aperte molte domande.
Una messa in scena immersiva e disturbante
La regia di Latella sfrutta al massimo le potenzialità dello spazio scenico. Il palco è dominato da una grande struttura metallica, una sorta di labirinto geometrico in continuo mutamento, che simboleggia la città stessa. Gli attori si muovono al suo interno come ingranaggi di un meccanismo sempre più oppressivo, e la scenografia cambia progressivamente: dall’ordine rigoroso del primo atto al caos visivo dell’ultimo.
L’uso delle luci è particolarmente efficace nel creare un senso di claustrofobia e di instabilità. I colori freddi e artificiali dominano la prima parte dello spettacolo, mentre tonalità più cupe e instabili avvolgono la fase del declino, accentuando il senso di disagio. Anche il suono gioca un ruolo fondamentale: i rumori della città – voci registrate, annunci, allarmi – si intrecciano alla recitazione, creando un effetto di immersione totale.
L’interazione con il pubblico è un altro elemento distintivo dello spettacolo. In alcuni momenti, gli spettatori vengono coinvolti direttamente, invitati a votare su questioni morali e politiche che influenzano il corso della storia. Questa partecipazione attiva trasforma il teatro in un’esperienza viva, in cui lo spettatore non è più un osservatore passivo, ma parte di un meccanismo che riflette, in modo inquietante, le dinamiche della società reale.
Interpretazioni magistrali per un’opera corale
Uno degli elementi di forza di La città perfetta è il lavoro straordinario del cast, composto da attori che riescono a restituire con grande intensità la complessità dei personaggi.
Michele Di Mauro, nel ruolo del visionario fondatore della città, è impressionante nel suo passaggio dall’idealismo alla rigidità dogmatica. La sua voce, inizialmente calda e rassicurante, diventa progressivamente fredda e inflessibile, riflettendo la trasformazione di un uomo che crede di poter costruire un paradiso e si ritrova invece prigioniero del proprio sogno.
Francesca Cutolo, che interpreta una delle dissidenti, offre una performance di rara potenza emotiva. Il suo monologo nel secondo atto, in cui denuncia i lati oscuri della città, è uno dei momenti più toccanti dello spettacolo, capace di scuotere profondamente il pubblico.
Luca Micheletti, nel ruolo dell’architetto della città, porta in scena un personaggio ambivalente, diviso tra la razionalità e il dubbio, tra l’adesione al progetto e la consapevolezza delle sue conseguenze. La sua interpretazione è sottile e stratificata, un perfetto esempio di recitazione che lavora sui dettagli più sottili.
Il resto del cast, composto da attori di grande esperienza e giovani talenti emergenti, contribuisce a creare un’opera corale in cui ogni personaggio ha un ruolo preciso e significativo.
Un’opera che interroga il presente
Se La città perfetta è stata accolta con tanto entusiasmo, è perché affronta temi di bruciante attualità. In un’epoca in cui la tecnologia, l’intelligenza artificiale e il controllo sociale sono sempre più presenti nelle nostre vite, lo spettacolo di Latella pone interrogativi profondi sul concetto di libertà, di giustizia e di società ideale.
Le critiche positive non si sono fatte attendere: la stampa ha elogiato l’intelligenza della drammaturgia e la forza della messinscena, mentre il pubblico ha risposto con standing ovation e dibattiti accesi dopo ogni replica. Il successo dello spettacolo ha portato a un prolungamento della programmazione, con nuove date annunciate nei principali teatri italiani.
Latella dimostra ancora una volta di essere un regista capace di leggere il presente con occhio acuto e di tradurre le grandi domande della contemporaneità in un linguaggio teatrale potente e originale. La città perfetta è un’esperienza che non si dimentica facilmente: uno spettacolo che non offre risposte rassicuranti, ma che costringe lo spettatore a interrogarsi sul mondo in cui vive e su quello che potrebbe diventare.