Uno degli spettacoli più acclamati dalla critica e più amati dal pubblico italiano è stato Il vizio della memoria, nuova opera teatrale scritta e diretta da Fausto Paravidino, in scena al Teatro Stabile di Torino. Con la sua capacità di affrontare i temi più complessi con una scrittura raffinata e incisiva, Paravidino firma un dramma contemporaneo che indaga il rapporto tra memoria individuale e collettiva, tra il peso del passato e il desiderio di cambiamento.
Lo spettacolo, ambientato in una città senza nome che assomiglia fin troppo alle nostre metropoli occidentali, racconta la storia di un uomo che si risveglia ogni mattina con il ricordo nitido di un evento traumatico della sua vita. Ogni giorno, la sua mente torna ossessivamente a un momento del passato, come se fosse condannato a riviverlo all’infinito. Attraverso questa premessa, Il vizio della memoria diventa una riflessione profonda su cosa significhi ricordare e su come il passato possa condizionare il presente, non solo a livello personale, ma anche sociale e politico.
Una scrittura che scava nell’anima
Fausto Paravidino è noto per la sua capacità di combinare dialoghi brillanti e naturalistici con una struttura narrativa che sfida le convenzioni tradizionali. In Il vizio della memoria, il testo si muove tra dramma psicologico, teatro dell’assurdo e riflessione filosofica, creando un intreccio che tiene lo spettatore sospeso tra realtà e immaginazione.
Il protagonista, interpretato magistralmente da Filippo Timi, è un uomo qualunque che, senza una spiegazione apparente, si trova intrappolato nel ricordo di un episodio della sua infanzia. Ogni giorno, al risveglio, il trauma ritorna, identico e preciso, come una condanna. I suoi tentativi di liberarsi dalla prigione della memoria diventano il cuore dello spettacolo, portando in scena momenti di straordinaria tensione emotiva, alternati a passaggi di ironia amara.
A rendere il testo ancora più potente è la sua capacità di ampliare il discorso dalla sfera individuale a quella collettiva. Il passato che perseguita il protagonista non è solo il suo, ma quello di un’intera società incapace di fare i conti con le proprie contraddizioni. La memoria diventa così una forza ambivalente: da un lato è necessaria per costruire un’identità, dall’altro può trasformarsi in un ostacolo al cambiamento, un peso che impedisce di andare avanti.
Una messa in scena ipnotica e inquietante
La regia di Paravidino traduce il testo in un’esperienza visiva e sonora di grande impatto. La scenografia è dominata da un enorme schermo che proietta immagini di ricordi sfocati, frammenti di volti, strade, oggetti, come se la mente del protagonista fosse costantemente invasa da fantasmi del passato.
L’uso delle luci è fondamentale nel creare l’atmosfera dello spettacolo: ombre lunghe, colori freddi e improvvisi bagliori accompagnano i momenti in cui il protagonista cerca di sfuggire ai suoi ricordi, mentre tonalità più calde emergono nei rari istanti di sollievo.
Anche il suono gioca un ruolo essenziale: voci sussurrate, echi lontani, frammenti di vecchie canzoni si intrecciano con i dialoghi, dando la sensazione che la memoria sia una presenza tangibile, quasi un personaggio a sé stante.
Paravidino utilizza inoltre uno stratagemma scenico particolarmente efficace: i personaggi del passato del protagonista appaiono sul palco come figure incerte, a volte interpretati dagli stessi attori che ricoprono ruoli nel presente, a sottolineare il modo in cui la memoria deforma e sovrappone i volti, creando continui cortocircuiti tra ieri e oggi.
Un cast straordinario per un dramma universale
Se Il vizio della memoria riesce a essere così coinvolgente, gran parte del merito va alla straordinaria interpretazione degli attori.
Filippo Timi offre una prova magistrale nel ruolo del protagonista. La sua recitazione è un alternarsi di esplosioni di rabbia e momenti di cupa rassegnazione, di ironia feroce e improvvise fragilità. Il modo in cui modula la voce, passando dal tono sommesso e riflessivo alla disperazione incontrollata, cattura perfettamente il tormento di un uomo prigioniero della propria mente.
Accanto a lui, Isabella Ragonese interpreta la moglie del protagonista, un personaggio complesso che oscilla tra il desiderio di aiutarlo e la paura di essere risucchiata dal suo mondo. Il suo monologo nel secondo atto, in cui racconta la propria difficoltà nel convivere con un uomo che non riesce a staccarsi dal passato, è uno dei momenti più toccanti dello spettacolo.
Luca Zingaretti, nel ruolo di uno psichiatra enigmatico che cerca di aiutare il protagonista a liberarsi dalla memoria ossessiva, regala un’interpretazione carica di sottigliezze. Il suo personaggio, inizialmente rassicurante, si rivela progressivamente più ambiguo, mettendo in discussione la distinzione tra terapia e manipolazione, tra guarigione e controllo.
Un’opera che parla a tutti noi
Il grande successo di Il vizio della memoria è dovuto alla sua capacità di toccare corde profonde nello spettatore. La memoria è ciò che ci definisce, ma è anche ciò che spesso ci incatena. Chi non ha mai vissuto l’esperienza di un ricordo che ritorna ossessivamente, impedendo di andare avanti? Chi non si è mai sentito bloccato da un passato che sembra più forte del presente?
Paravidino non offre risposte semplici. Lo spettacolo si chiude senza una vera conclusione, lasciando il pubblico con una sensazione di incertezza e con il bisogno di riflettere. Il protagonista trova forse un modo per convivere con il suo passato, ma non c’è una vera liberazione: la memoria rimane un vizio, una dipendenza impossibile da estirpare completamente.
Critica e pubblico hanno risposto con entusiasmo: repliche sold out, recensioni entusiastiche, dibattiti accesi. Alcuni hanno visto nello spettacolo una metafora della società italiana, un Paese spesso incapace di elaborare i traumi della propria storia; altri lo hanno letto come un dramma psicologico universale, un’indagine sull’identità e sulla fragilità dell’essere umano.
Quello che è certo è che Il vizio della memoria è uno degli spettacoli più importanti del 2025. Un’opera che dimostra quanto il teatro possa ancora essere un luogo di indagine e di emozione, capace di farci guardare dentro noi stessi con occhi nuovi.