Nelle notti d’estate, quando il respiro del Tirreno lambisce la rocca di Cefalù con un alito tiepido che sa di alghe e di gelsomino, il Castello Bordonaro di Mazzaforno si trasforma in un’isola di pietra sospesa fra mare e volta celeste, antico bastione normanno pronto ad accogliere nuove rotte sonore e luminose. È qui che la Cooperativa Le Baccanti, intrecciando le proprie radici nel territorio con la visione del Comune, inaugura una rassegna che è musica, ma anche racconto del paesaggio, indagine sulla memoria e abbraccio con la scienza, un doppio appuntamento capace di condensare, in due sere distinte, l’essenza stessa dell’ascolto: prima il 30 luglio con “Absolutely… Ennio Morricone”, unica data siciliana del duo Gilda Buttà e Luca Pincini, quindi l’11 agosto con “Note di stelle”, concerto–costellazione in compagnia del Planetario di Palermo.
Il primo atto – quello dedicato alle partiture originali di Morricone – ha il sapore di un ritorno a casa, seppure attraverso un sentiero laterale. Gilda Buttà e Luca Pincini non sono soltanto interpreti eccelsi: sono stati, fin dagli anni novanta, le mani e l’arco a cui il Maestro affidava le proprie alchimie di carta; li si ricorda piegati sui leggii degli studi di registrazione, fra bobine e partiture punteggiate di correzioni a matita, intenti a fissare su nastro l’anima di film destinati a vivere ben oltre la pellicola. Portano sul palco, dunque, un repertorio che vibra di confidenza: c’è la melodia inconfondibile di “Nuovo Cinema Paradiso”, col suo correre di scale che odorano di proiettore e di poltrone di legno, ma anche l’invettiva lirica di “La Califfa”, le atmosfere sospese di “Mission” dove il pianoforte diventa mormorio d’acqua e il violoncello sigilla una preghiera senza parole. Eppure il programma, proprio per fedeltà alle intenzioni dell’autore, non si esaurisce nella colonna sonora: accoglie pagine “assolute”, lontane dal grande schermo, in cui Morricone sperimentava geometrie seriali, contrappunti d’avanguardia, richiami alla polifonia rinascimentale. È lì che la cifra dei due interpreti si rivela più preziosa: Buttà cesella i silenzi, li accosta alle note come fossero pietre di un mosaico bizantino; Pincini scolpisce legati che sembrano fili d’ambra, poi irrompe con passaggi di pura virtuosità, eco di lontane fanfare metropolitane. La sala a cielo aperto del Castello diviene allora cassa di risonanza di qualcosa che somiglia a un rito: una celebrazione senza retorica, in cui l’arte di un uomo dialoga con il respiro sommesso della baia sottostante, con il frinire dei grilli, con il bagliore dei fari in lontananza.
Ci si immagina, al termine del concerto, un pubblico lento a lasciare le sedie di pietra, un brusio lieve prima dell’applauso – quasi un pudore – e poi l’onda di mani che scioglie la tensione. Qualcuno chiuderà gli occhi per trattenere l’ultima nota, altri abbasseranno lo sguardo sul pianoforte, ancora caldo di emozione, come a voler imprimere nella memoria la silhouette nera dello strumento contro la notte siciliana. Sarà un momento di sospensione, quel respiro di silenzio in cui si percepisce che la musica, appena svanita, ha lasciato qualcosa di più di un’eco: ha scolpito un ricordo condiviso, un frammento di identità collettiva.
Pochi giorni dopo, quando la luna avrà varcato la soglia dell’agosto e il cielo si popolerà di stelle cadenti, lo stesso Castello ospiterà “Note di stelle”, tappa successiva di questo itinerario fra suono e infinito. Scenografia minimale: un paio di telescopi puntati a oriente, la voce narrante di Marcello Barrale pronta a distillare miti e coordinate celesti, la chitarra e le tessiture elettroniche di Alfredo Giammanco a tessere ponti fra gli oggetti del cielo profondo e l’immaginazione dell’ascoltatore. Sarà un concerto in due turni, per permettere a ciascuno di alternare l’ascolto alla visione: mentre uno dei gruppi osserverà nebulose e ammassi globulari sotto la guida degli operatori del Planetario di Palermo, l’altro siederà nel recinto d’ombra a lasciarsi attraversare da musiche che evocano la lenta genesi delle galassie. Giammanco, noto per il suo lavoro di sound artist, mescola corde acustiche, riverberi naturali, pulsazioni sintetiche ottenute campionando rumori ambientali delle Egadi; ne esce un paesaggio sonoro che sembra provenire da un’eco interplanetaria e insieme dalla pietra friabile del castello, un inno a quella fratellanza nascosta fra i sali minerali del corpo umano e la polvere di cui son fatte le stelle.
Il pubblico, ancora una volta, non sarà semplice spettatore. Al centro della pedana verrà proiettata una mappa in tempo reale del cielo d’agosto, cosicché ogni nota troverà un corrispettivo visivo: la chitarra che imita lo sbuffo di una stella morente, la tessitura elettronica che s’allunga come la coda di una cometa. Barrale ricorderà che Cefalù, dal greco Kephalodion, deve il nome alla forma del promontorio, e inviterà a leggere nelle costellazioni storie di naviganti e di mercanti fenici: perché la volta celeste, prima che spettacolo romantico, fu bussola, calendario rurale, archivio di racconti.
In entrambi gli appuntamenti il prezzo del biglietto è volutamente accessibile, quasi simbolico: un gesto che vuole tenere fede all’idea di cultura come bene comune, ponte fra generazioni e non lusso da intenditori. Chi sceglierà di fermarsi in città – magari per una sera soltanto – scoprirà che al mattino il sagrato del Duomo arabo-normanno offre l’ombra perfetta per leggere le pagine di un libro di viaggio, che nel pomeriggio le onde di Mazzaforno restituiscono il sale necessario alla meditazione, che al crepuscolo il profilo dell’isola di Alicudi pare uno spartito misterioso. E comprenderà perché Cefalù, secoli dopo Ruggero II e a decenni di distanza dai set cinematografici che ne hanno fissato l’immagine, continui a reinventarsi officina di bellezza: non per mania di spettacolo, ma per intima vocazione al racconto.
“Absolutely… Ennio Morricone” e “Note di stelle” sono, in fondo, due capitoli dello stesso racconto: l’uno getta uno sguardo nell’anima di un compositore che ha trasformato il suono in paesaggio emotivo, l’altro solleva lo sguardo verso la volta celeste per suggerirci che ogni umano respiro non è che una sillaba dell’universo. In mezzo, la cornice di pietra e vento del Castello Bordonaro ricorda che il tempo della contemplazione ha bisogno di luoghi capaci di trattenere, come un vaso d’argilla, l’eco dei passi di chi, prima di noi, ha cercato risposte nelle stesse note, nelle stesse stelle.